Vetrina
Luminanza
Luminanza - reattore per la drammaturgia contemporanea svizzera di lingua italiana - nasce dal bando Close Distance di Pro Helvetia nel 2020 durante il Covid. Dal 2021 al 2023 ha avviato 17 giovani alla scrittura teatrale tramite un anno di workshop e incontri con drammaturghə svizzerə e italianə. Di seguito, trovate la lista di chi ha partecipato ai tre anni di Luminanza e le informazioni sui testi scritti durante l’anno di formazione.
Kevin Blaser
(1990)
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Kevin si è formato presso l’Accademia Teatro Dimitri, ha partecipato a diversi workshop teatrali e come attore in diversi film di produzione Svizzera (tra cui Tutti giù, Niccolò Castelli, 2011) e numerose pièce teatrali (L’incatenato, 2019). Nel 2020 è coregista, con Sara Lerch di Don Quijote (Theaterzirkus Wunderplunder). Il testo L’Incatenato (Teatro Fluctus, 2019) è stato scritto a quattro mani con Tito Bosia.
Tito Bosia
(1990)
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Ha scritto con Kevin il testo L’incatenato, frutto anche di una sua esperienza come medico volontario all’estero; è la sua opera prima, ed è stato prodotto da Fluctus Teatro nel 2019. Per lui la scrittura «era un mero strumento di analisi» ed ora «si è trasformato in un potenziale mezzo di sintesi». Attualmente lavora come medico a Basilea; legge molto, scrive a tratti, suona diversi strumenti.
Tempeste
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“Tempeste” è un testo nato dall’esigenza di colmare un silenzio. Un silenzio durato anni. Un silenzio reso assordante dal suicidio di una madre. Un silenzio conservato con ermetismo da un padre. Un silenzio nel quale un figlio cerca di trovare la propria voce per meglio capire il suo passato. Eppure, a voler ascoltare bene, non è il silenzio l’unica cosa che resta. Il vento dà eco ai sentimenti più inabissati, spolverandoli e portandoli alla luce. È un turbine che si alza dalle profondità marine, strappando quelle creature - mostruosamente umane – che le popolano, per spingerle alla superficie e farle emergere dal mare nelle conchiglie. Come si può parlare di ciò che sembra essere indicibile, se non ci sono parole per poter dire la tempesta di emozioni che ci abita? Cos’ha da dirci, questa voce a noi così familiare? Nato da matrice biografica e scritto a quattro mani da Tito Bosia e Kevin Blaser, “Tempeste” è il loro secondo lavoro.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Lalitha Del Parente
(1988)
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Lalitha Del Parente, originaria di Bangalore, è cresciuta in Svizzera.
Nel 2010 si è diplomata in violino con il massimo dei voti.
Attualmente lavora come professore d'orchestra e insegnante tra il Ticino e Zurigo.
È direttore artistico della rassegna “Settembre Musicale” di Riva San Vitale.
Interessata da sempre alla contaminazione tra le arti, sta lavorando ad un progetto letterario-musicale in duo d'archi su musiche del Novecento.
“Siamo quelli giusti” è il suo primo testo teatrale, scritto durante l’anno di Luminanza.
Siamo quelli giusti
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“L’esperienza dell’adozione mi accompagnerà per il resto della mia vita”.
È stato questo pensiero a farmi indagare più a fondo la tematica. Le cose che ci circondano sono in costante cambiamento, il modo di scrivere, il modo di esprimersi, le proprie convinzioni possono cambiare da un momento all’altro. Così è anche per il rapporto di ogni adottato con la propria storia adottiva. Cambia costantemente. Ignorare, evolvere, sotterrare, migliorare, distruggere, riconsiderare.
Lo spettacolo porta in scena il tentativo di attraversare il confine di ciò che ci è familiare verso un futuro ignoto. Il testo tocca temi quali l’identità culturale, l’integrazione, il senso di appartenenza alla propria famiglia, alla propria comunità.
Siamo quelli giusti si ispira a tutti i compagni adottati, ai genitori in attesa di adottare che ho incontrato, intervistato con cui ho condiviso la mia storia personale.
Spero che questo testo apra il pubblico al confronto e lo incoraggi a indagare sui molti documentari, libri, podcasts e opere d’arte realizzati da persone che hanno vissuto l’esperienza dell’adozione transrazziale poiché conoscere differenti punti di vista può solo aiutare a comprendere meglio.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Marzio Gandola
(1995)
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Formato come fisico e fin da piccolo attore dilettante, Marzio Gandola (Lugano, 1995) sviluppa la sua passione per la drammaturgia nel corso dei suoi studi, alla ricerca di un’altra finestra sul mondo, diversa da quella della scienza pura. Per anni presidente e attore per la compagnia studentesca Pourquoi Pas?, Marzio comincia a scrivere seguendo la spinta ad unire i processi creativi del suo percorso attoriale con un lavoro più intellettuale, in precedenza dedicato unicamente ai suoi studi. Il suo primo lavoro teatrale, Furti (2018), pone a confronto un professore e una ragazza, sulle visioni del mondo di due generazioni apparentemente distanti e inconciliabili. Il testo è stato messo in scena con un progetto indipendente nel 2021, ed è valso al suo autore la selezione per il primo anno formativo di Luminanza. Il lavoro realizzato nel corso di questa formazione, Spostati verso il rosso (2021), è il suo secondo testo.
Spostati verso il rosso
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Osservando il tempo che passa sembra che certi aspetti dell’esistenza umana evolvano, seguendo una linea, che avanza pari passo con gli anni, i secoli, i millenni; altri aspetti invece sembrano ciclici, ripetuti all’infinito seguendo un ritmo ancestrale, come le onde del mare; altro ancora pare proprio immutabile, come le stelle, identiche a come le vedevano i nostri antenati. La società occidentale ha sempre posto la propria forza nel progresso, in ciò che va avanti, ma non tutto avanza allo stesso modo. Si formano allora delle situazioni inaspettate, dei cortocircuiti temporali che sembrano sfuggire ad ogni capacità di lettura e che hanno perciò lo stesso sapore del sogno, dell’allucinazione, e davanti alle quali ci si ritrova smarriti, come tornati bambini, perché anche il tempo proprio, che ha segnato l’evoluzione della persona, subisce lo stesso cortocircuito. Un’apparente confusione, che squarcia le immagini più convenzionali di progresso, crescita ed evoluzione, lasciando vedere nuovi dettagli, a cominciare dalle stelle, che appaiono già un po’ più rosse di come le hanno viste i nostri antenati.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Achille Giacopini
(1992)
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Achille Giacopini ha studiato Letteratura italiana a Roma. Vive a Lugano e lavora come ispettore di polizia.
Si doveva considerare il balcone bagnato
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Periferia. Le nuvole passano sopra i cavalcavia e i prati bruciati dal sole. C'è un piccolo bar di quelli con le sedie di plastica. Sotto la tenda tirata, accanto al cartello sbiadito dei gelati Algida c'è un tavolino con un posacenere pieno e tre amici. Aspettano Fabrizio che è andato a farsi un tatuaggio e si chiedono se Valentina lo abbia lasciato.
Non c'è niente di male a passare i pomeriggi di libero a guardare gli aerei senza pensare che atterreranno da qualche parte e che il mondo non è tutto lì con le sue certezze e i suoi paesaggi immutabili, dove la relazione di Fabrizio e Valentina non è in discussione. Dove nessuno si chiede se si possa chiamare amore la loro storia tra le bottiglie rovesciate e le sigarette fumate sdraiati a letto, guardando il soffitto senza sognare nient'altro che quello, nemmeno la libertà di volere una vita diversa. Nemmeno essere felici.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Tommaso Giacopini
(1993)
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Tommaso Giacopini, classe 1993, è un drammaturgo, poeta e artista teatrale svizzero. Dopo aver completato i suoi studi in Physical Theatre presso l'Accademia Teatro Dimitri di Verscio (Svizzera) si reca a Londra dove oltre a completare un Master in Creative Practice: Transdisciplinary Focus vive e lavora come attore e performer per quattro anni, acquisendo una grande esperienza nel campo delle arti sceniche a livello internazionale. Con la compagnia teatrale Acrojou, di cui diventa anche co-direttore artistico, porta i suoi spettacoli attraverso Europa e Asia, in una dozzina di Paesi. Arriva poi il giorno in cui la metropoli diventa per Tommaso poco “metro” (madre) e troppo “polis” (città) e sceglie di lasciarla per tornare a vivere in Ticino, in vicinanza della natura, dove si dedica alla scrittura, drammaturgica e poetica, all'utilizzo della voce come strumento espressivo e allo yoga. Nella sua scrittura predilige l'intuito all'intelletto, danzando tra mostri e momenti di grazia.
Dodici metri di apertura alare
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Sofia, compagna di Leonardo, è sconvolta da un evento tragico. La morte della madre la inchioda a una realtà cruda e improvvisa quanto un asteroide che con l'innocente ferocia di un corpo celeste cade dal cielo. Che cosa succede nel momento dell’impatto e nell'istante appena successivo?
Il tempo di una giornata, per Sofia, si trasforma nel tempo di un'era geologica. Sotto i suoi piedi si apre una voragine, lo spazio tra un universo e il suo universo precedente, un varco da cui emergono i mostri antichi delle sue paure.
Il linguaggio che ho scelto è metaforico, seppur schietto e affilato. Intimità e introspezione si alternano a momenti di enormi spostamenti, il macrocosmo si ritrae nel microcosmo.
Con Dodici metri di apertura alare mi interessa parlare di tentativi mancati di comunicazione all'interno dell'intimità familiare, di rapporto tra genitori e figli, di maternità, paternità e, soprattutto, di figlità, in un testo serrato in cui sembrano riecheggiare le parole dell’autrice Adriana Pagnoni.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Francesco Puppini
(1995)
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Francesco Puppini (1995) è nato e cresciuto a Milano. Regista sceneggiatore cinematografico, sta viaggiando nel circuito festivaliero con il suo nuovo corto “Tutti Uccidono”. Oltre alla sua attività da regista, è appassionato di teatro. Nel 2024 partecipa al workshop di Biennale College Teatro condotto da Tim Crouch, dove sperimenta nuove idee. Il suo corto “Tutti Uccidono” ha recentemente partecipato al Rome Independent Film Festival, Lovers Film Festival, Cervino Cine Mountain, Marateale e al Monza Film Fest, dove ha ricevuto il Certificate of Award for the Official Selection, posizionandosi tra i primi cinque corti tra oltre 800 candidature da tutto il mondo. Il corto è stato presentato anche al Cinemino di Milano in una piccola rassegna dedicata al cinema breve. Al momento è alla ricerca di un produzione per la sceneggiatura del suo primo lungometraggio, ispirata a suo corto vincitore di molti premi “Virginia”. Oltre a questo è anche al lavoro su un nuovo cortometraggio.
Evocazione
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Evocazione nasce dalla necessità di scrivere un racconto personale. Parlare di famiglia oggi e di come si manifestano le dinamiche famigliari nel nostro quotidiano è per me importante. Nella fase di scrittura ho voluto raccontare un rapporto madre e figlio e mi sono posto alcune questioni su quale sia il significato di questi due ruoli. La famiglia è l’origine del desiderio ma anche delle più grandi paure, ed è da qui che sono partito. Il superamento dei mostri interiori diventa il fuoco combustibile della narrazione. Cosa implica il desiderio di superare un proprio trauma irrisolto, cosa vuol dire diventare una persona nuova, cambiata, cresciuta? Il testo prende le mosse da queste domande e le rivolge al lettore facendo affidamento a una metafora scenica che trova risoluzione solamente nel finale. Come in un esperimento, la scena cambia, muta, così come la modalità di relazionarsi e il linguaggio stesso, che si adattano alle circostanze in cui i due protagonisti sono posti da forze esterne. L’astrazione, o meglio, un’evocazione è l’unico metodo di analisi rimasto.
Elisa Rusca
(1986)
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Storica dell'arte specializzata in fotografia e periodo contemporaneo, Elisa Rusca è conservatrice del Museo Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa di Ginevra. Dottoranda in Visual Cultures alla Goldsmiths, University of London, ha realizzato mostre e eventi culturali in Svizzera, Germania, Cina, Italia e Polonia. L’Anguilla è il suo primo testo drammaturgico.
L’Anguilla
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L'anguilla è un pesce che passa più di tre quarti della sua vita al buio, cieca, mossa solo dalla fame e dall'istinto di riprodursi. Più si addentra nel cuore della terra, avvicinandosi al centro del mondo, meno riesce a vedere. Così noi, più insistiamo ad ingrandire un’immagine per vederne tutti i dettagli, più ci troveremo davanti a un mosaico di grani sfocati, al punto di non riuscire più a capire qual era la veduta d’insieme – e, magari, dimenticando come siamo arrivati lì. L’anguilla scivola e si nasconde, come la verità. Per trovare la verità siamo obbligati a procedere alla cieca, spinti da forze incomprensibili, resistendo nel fango di un mondo in cui esiste solo il presente di relazioni temporanee, in cui l’attesa è un’esperienza svuotata da qualsiasi senso di speranza o aspettativa. Celebrando la fenomenologia dell’anguilla, la mia pièce esplora la costruzione della realtà che viviamo attraverso le tensioni tra il vedere e il credere, e i rapporti di potere che ne derivano.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Valerio Abate
(1994)
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Nato in Svizzera da genitori italiani nel 1994, ha studiato Arti visive presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e presso l’Universität der Künste di Berlino. Dal 2016 espone tra Italia, Svizzera e Germania. Dal 2019 scrive per il Canale Cultura della RSI e dal 2020 per la rivista italiana Antinomie.it. Dal 2022 lavora presso il Museo delle Culture di Lugano.
Lo stoccafisso e la luna
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Lucio è un professore pedante e ipocrita, complice di un regime accademico fatto di ruffiani e sicofanti che non vedono l’ora di condannare chiunque esuli dall’ortodossia dell’Università. Ciononostante, Lucio sente il bisogno di capire i motivi per cui lo zio – un alchimista e teologo libertino – si è suicidato. Allora rischia tutto conducendo una ricerca illecita nello studio dello zio. Ma qualcosa di inaspettato giunge dal seminterrato, qualcuno che Lucio ha dimenticato da molto tempo, e che disprezza: O. Se Lucio è un millantatore, O è ironicamente servile, è una di quelle figure che nella storia ha avuto molte facce e molti nomi, ma che ancora conserva l’indole satiresca, tanto che le sue finzioni e i suoi inganni portano a qualcosa di reale. Solo O – che fa dell’ossimoro il suo costume – sa destreggiarsi nello studio: sa condurre Lucio allo Stige, sa che il cielo cade a seguito di un sacrilegio, ma può ancora sorprendersi se la luna diventa l’ingresso di una grotta. Quello tra O e Lucio è un vecchio gioco, il gioco tanto quotidiano quanto epocale tra il sole e la luna. Lo studio dello zio è il campo scelto: luogo in cui la logica cede il passo a leggi diverse ma non meno rigorose: quelle del sogno. È un luogo d’ombre che si inspessiscono man mano che ci si addentra, che se ne percorrono i dedali alla ricerca dei margini. Questa storia è come un viaggio immobile al centro della propria vita. Tratta il suicidio: è un testo intriso di ironia.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Marta Pizzigalli
(1997)
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Nata e cresciuta a Rimini, conduce gli studi universitari in Svizzera, a Lugano e Losanna. Attualmente studia Lingua, letteratura e civiltà italiana all’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Dal 2021 collabora con l’Istituto Svizzero Media e Ragazzi nella redazione della rivista Il Folletto. Dal 2018 è studentessa collaboratrice della Biblioteca Universitaria di Lugano e dal 2021 si occupa della gestione dei profili social dell’Istituto di Studi Italiani di Lugano. È presidentessa dell’associazione studentesca Il Letterificio.
Greenlanders
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Un tempo la Groenlandia era una terra verde e prosperosa, solo i nomadi Inuit ad abitarla. Nel 985 arrivarono i Vichinghi, con le loro pecore e la roccia per costruire forti case e grandi chiese. Agli Inuit non piacevano i Vichinghi. Sono passati quattrocento anni da allora. Ai Vichinghi non piacciono gli Inuit. Ma ora i Vichinghi hanno fame. Aalis e Gunnhild sono due coinquiline vichinghe e hanno fame e la terra è arida. Elezioni del capo in vista: cambierà qualcosa? Primo candidato e annunciato vincitore Donald Adalborj. Il testo è nato dall’interrogarsi sul rapporto fra dentro e fuori: l’interno, le relazioni, la casa; l’esterno, il potere, l’ambiente. Fino a che punto siamo disposti a cambiare per vivere? Cosa siamo disposti a sacrificare? Perché restare?
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Alessia Passoni
(1993)
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Alessia vive a Lugano, dove lavora come illustratrice, motion e visual designer freelance. Ciclopi è il suo primo testo teatrale.
Ciclopi
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Ciclopi è un gioco da bambini. È sufficiente coprirsi un occhio con la mano per trasformarsi nelle creature mitiche che barattarono un bulbo oculare con Ade, in cambio della capacità di vedere il futuro. Adam e Nina l’hanno inventato il giorno in cui si sono conosciuti, per sopravvivere alla realtà, dando voce e corpo a tutte le cose meravigliose e fragili che si agitano dentro una solitudine mortale. Questo testo riporta una parte della loro storia, frammentata come i ricordi e sospesa come il vuoto lasciato da una persona che non c’è più.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Sofia Reggiani
(1992)
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Nata e cresciuta a Lugano, Sofia lavora come traduttrice dall’inglese all’italiano. Ha studiato storia del cinema e francese all’Università di Losanna e nel 2015 si è trasferita a Londra dove ha vissuto per sei anni. Lì ha conseguito un master in traduzione specializzandosi nella letteratura per l’infanzia e nel doppiaggio di film e telefilm comici.
Mitocondriache
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Tutto ha inizio con la microbiologia, un bar e una madre un po’ molesta: la signora Susy. Oltre ad avere vari problemi con la corrente, un cane che sta per morire e un figlio che pensa solo alla sua tesi, la signora Susy è inconsapevolmente abitata da tre donne, Xanthia, Walpurga e Nancy, e le restano poche ore per organizzare la sua prima serata di speed dating nonostante tutto intorno a lei sembra aver smesso di funzionare.
Mitocondriache è una storia di donne malate. Ipocondriache? Ad alcuni ha fatto comodo pensarlo. In questo testo il mitocondrio, luogo della memoria genetica femminile, diventa il palcoscenico di una memoria storica, un palcoscenico in cui tre donne di epoche diverse si contendono un microfono per cantare il proprio dolore. Un dolore fisico. Quello che ci fa urlare e risveglia in noi il nostro lato più ruvido. Un dolore che spegne tutte le luci e ci fa venire voglia di nasconderci, forse nel buio o forse proprio in un mitocondrio. Una breve storia della medicina tra citoplasmatiche onde e frigoriferi rotti, con un poco di musica così la pillola va giù.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Joséphine Bohr Capanna
(1996)
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Studia al Conservatorio di Milano. Si laurea in traduzione letteraria all'Università di Strasburgo. Traduce il saggio La Disciplina Positiva di Jane Nelsen (Il Leone Verde, 2019). Nel 2020 seleziona cortometraggi per il festival Fiori del Kurdistan. Nel 2021 è parte del team di traduzione di Luminanza.
Il titolo me lo trovavi sempre tu
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Una farfalla. No, un pezzo di plastica. No, è una farfalla. Un navigatore. Una scatola con un’etichetta: ciarpame 2022. E se poi dentro c’è qualcosa che non vuoi vedere?
Ma come ci siamo finiti qui?
Guarderemo il miracolo del sole entrare dalla finestra. Non andremo a metterci all’ombra. E sapremo che è il giorno giusto.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Elisabeth Sassi
(1995)
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Elisabeth Sassi (Ticino, 1995) è redattrice culturale, drammaturga e autrice indipendente. Ha partecipato a festival come BABEL, Territori e FIT, oltre a progetti di scrittura teatrale con Pro Helvetia, Emilia Romagna Teatro e Servomuto Teatro. Si forma nell’ambito di Luminanza – Reattore per la drammaturgia contemporanea e approfondisce il suo percorso grazie all’incontro con Angela Demattè, Chiara Lagani, Davide Carnevali, Emanuele Aldovrandi, Francesca Garolla, Letizia Russo, Liv Ferracchiati, Marina Skalova
e Sarah Jane Moloney. Ha frequentato il Workshop di Critica Teatrale di Biennale Teatro 2025 curato da Roberta Ferraresi e Massimo Milella.
La sua prima pièce, Fortuna, è stata presentata come mise en espace al Teatro Foce di Lugano e poi adattata come radiodramma per la RSI (Radiotelevisione svizzera di lingua italiana). Nel 2023 ha realizzato per Babel Isole il podcast Argonaute, una miniserie in 5 episodi prodotta con il sostegno di FSRC/SRKS, REC e Radio Gwen. Attualmente - 2025 -
sviluppa il progetto È già la fine del mondo con la danzatrice e performer Cecilia Francesca Croce e altri progetti sperimentali di scrittura dal vivo con il collettivo H5N1 di cui è co-fondatrice.
IG: @beth_jas
Fortuna (2023)
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Un padre sudcoreano al servizio di un’egocentrica scrittrice inglese di successo, sua moglie, un giovane medico che, non sapendo cosa fare della sua vita, fa da assistente alla suddetta scrittrice siedono al tavolo il giorno in cui Satu Anna compie 34 anni, o 36, che li conti la madre o il padre – già questo è sufficiente ad aprire ulteriormente le vecchie crepe nelle loro relazioni. E forse è proprio tra quelle fessure che crescono piante carnivore, infermiere rapaci, mostri reali o immaginari. Fortuna, forse, è un dramma borghese contemporaneo che mostra cosa nascondono i personaggi sotto l’abito ricamato di belle idee di una famiglia privilegiata del ventunesimo secolo. Abiti che ormai ognuno indossa da molti anni e che, in tutta probabilità, continueranno a vestire confrontati anche con il mondo esterno. Ammiro tutte le persone birazziali che, dopo aver rinnegato metà della propria identità durante la crescita, hanno trovato il coraggio di abbracciare tutte le culture che compongono la loro identità, anche quella considerata subalterna dalla maggioranza. Questo testo è dedicato a chi frantuma gli specchi e, ai paguri e alle loro case.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Branislava Trifković
(1990)
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Branislava Trifković nasce nel 1990, cresce in Ticino e, dopo aver ottenuto un B.A. in Storia generale e Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Ginevra, prosegue i suoi studi interessandosi al dialogo tra storia e memoria, ottenendo un M.A. in Storia presso il Goldsmiths College di Londra. Dal 2019 è collaboratrice presso l’Università della Svizzera italiana, dove coordina progetti legati ai rischi e alle opportunità della transizione digitale.
IG: @branislavachao
ECDISI (2023)
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ECDISI è un testo che esplora la nozione di confine in senso lato. Il confine identitario presente in ognuno di noi, il confine tra la paura e il coraggio, il confine dell’espressione linguistica, il confine del tempo e delle credenze, e infine, quel confine in cui confiniamo l’altro. Il testo si propone di mettere in luce la volubilità e la fragilità di questi confini, nel bene come nel male. Bogdan, Bojana e Christoph si ritroveranno a fluttuare tra questi confini, e, in una pescheria, scopriranno che ciò che li accomuna è probabilmente molto più grande di ciò che li divide.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Lea Ferrari
(1991)
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Nasce a Bellinzona nel 1991. Si forma come agronoma e pianificatrice del territorio. Municipale di Serravalle (Valle di Blenio) e deputata in Gran Consiglio. Il gusto della parola e il grande piacere della lettura, nella vita quotidiano, nel lavoro, nel dibattito politico. Cerca un teatro che vive tra la gente, le montagne, le ingiustizie.
E`stata selezionata per Luminanza (2023) e Prismi (2025), è autrice del radiodramma "La Scuola ticinese" e di "Valchera's" prodotto dall'Unione Ticinese di Londra in occasione del 150esimo anniversario.
IG: @lea_ferrari91
La scuola ticinese (2023)
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Luigi è un architetto. Visionario, perché le sue opere non si sono realizzate, sono rimaste su carta. Per un ben preciso motivo: Luigi ha incarnato un ideale politico nella vita privata come nella professione. Altri che hanno camminato al suo fianco se ne sono distanziati per prendere strade diverse, la singolarità del percorso di Luigi sta nell’applicazione delle idee all’architettura, alla politica, alle relazioni e al tempo. Luigi si muove in tre istanze che insieme completano un aforisma: “Con l'architettura non fai la rivoluzione. Ma la rivoluzione non basta per fare architettura. L’essere umano ha bisogno di tutte e due.” Una quarta istanza rappresenta il futuro.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)
Chiara Gallo
(2001)
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Chiara Gallo nasce, cresce e corre a Lugano. A 9 anni pensava di aver capito tutto del mondo e voleva fare la maestra; adesso ha 22 anni e forse proprio perché del mondo non ha capito nulla cerca di formarsi come attrice e di vivere di teatro. Accessoriamente si laurea in Lettere presso l’Université de Lausanne e si applica a dare continuità alla tradizione migratoria della sua famiglia prendendo impegni un po’ ovunque nel mondo. Il suo tarocco preferito è proprio quello del mondo — il suo oracolo preferito invece è l’albero. Ha i piedi a terra e la testa tra le nuvole. Si dimentica sempre qualcosa. Oppure perde il filo del discorso.
IG: @chiara.gallob
C A T E (2023)
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Santa Caterina da Siena, compatrona d’Italia e d’Europa − per gli amici, Cate − non è nata adulta e non è nata santa. Però dove stesse andando lo sapeva. O almeno così fa pensare la Storia, che la ritrae come una donna risolta e risoluta sin dalla più giovane età. D’altronde, dialogare con Dio a quattro anni non è dato a tutti − tantomeno diventare la consigliera di due papi prima dei trenta. I punti che potrebbero accomunare una ragazza del ventunesimo secolo e una Santa vissuta durante il Medioevo sembrano quindi inesistenti. Eppure in Cate risiedono tutti i desideri, le paure e le domande che caratterizzano il periodo della tarda adolescenza e della prima età adulta. È forse per questa inconsapevole convivenza di ingenuità e di misticismo, di speranza e di scetticismo, che una ragazza come tante trova in questa canonicissima Santa la spinta per riprendere in mano le redini della sua vita. CATE affronta i temi della costruzione e dell’affermazione dell’identità, così come della crisi e dell’incertezza, proprie a questi processi, con la sola speranza di confortare chi, davanti al bivio, non sa se prendere una decisione o se aspettare una risposta.
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LESE EINEN AUSZUG (DE)